Si chiama “Sheep-Up – Biodiversità ovina Veneta: un’opportunità per allevatori e territorio” l’ultimo progetto finanziato dalla Regione Veneto attraverso il Piano di Sviluppo Rurale 2014/2020 ed ora in via conclusiva. Il Centro Consorzi e l’Università degli Studi di Padova (Dipartimenti DAFNAE e TESAF) da anni sono impegnati nel preservare quattro razze ovine autoctone del Veneto dal rischio di estinzione con numerosi progetti.
Già con Bionet e Sheep Al.l Chain si è vista l’efficacia della collaborazione tra gli enti coinvolti. Questo tipo di progetti intende promuovere la conservazione di risorse genetiche di razze ovine a limitata diffusione, che hanno fatto parte per secoli della tradizione dei pastori delle province di Belluno, Verona e Vicenza. Infatti, il nome delle razze a volte richiama il luogo cui la loro origine è attribuita: Alpagota, Lamon, Brogna e Foza. La limitata diffusione sopracitata le distingue dalle razze ovine più produttive, protagoniste degli allevamenti specializzati nella produzione di latte o carne. In questo caso, infatti, le loro caratteristiche peculiari non provengono dal miglioramento genetico mirato ad aumentare la produttività come per molte razze note, bensì dall’adattabilità a quegli ambienti montani che le hanno naturalmente selezionate nel corso del tempo.
Ancora una volta si vede come la natura può dare vita ad un connubio perfetto tra popolazioni e loro zone di origine: le suddette razze ovine si sono adattate ai paesaggi montani del Veneto. La rusticità che le contraddistingue permette loro di assicurare il mantenimento di pascoli marginali altrimenti inaccessibili con i mezzi agricoli, oltre a favorire la biodiversità e il turismo locali, contenendo in modo ecologico l’avanzamento del bosco nei luoghi antropizzati.
Con “Sheep-Up” è iniziato il processo di valorizzazione dei prodotti che si ottengono da queste razze ovine: latte, carne e lana.
L’Università di Padova ha messo a disposizione i propri esperti per valutare i pregi nutraceutici della carne e del latte, effettuando analisi sul profilo dei grassi contenuti e sulle proprietà coagulative del latte. È noto, infatti, che animali che si alimentano direttamente al pascolo accumulano nei propri tessuti un quantitativo maggiore di sostanze antiossidanti contenute nell’erba fresca, come la vitamina E, rispetto ad animali alimentati con cereali e un ridotto apporto di fibra (fieno, erba…).
Non dimentichiamo poi che i ruminanti, come ovini e bovini, sono i più efficienti utilizzatori della fibra, la quale associata alle fermentazioni che avvengono all’interno del rumine, permette loro di disporre di una ulteriore fonte proteica autoprodotta, detta anche proteina endogena.
Ed è proprio il foraggio che proviene dall’insidiosa e silenziosa regione montuosa veneta che conferisce un valore aggiunto ai prodotti animali derivati. I foraggi verdi della montagna non avrebbero alternativa di utilizzo; invece, conferiscono alla carne ed al latte un ottimo contenuto di grassi insaturi e di polinsaturi, come gli omega-3, ed anche vitamine liposolubili (A, D, E, K). Tali grassi insaturi sono conosciuti come “grassi buoni” o HDL (High Density Lipoprotein) e riducono il rischio di malattie cardiovascolari.
Un’ulteriore attività che è stata prevista all’interno del progetto Sheep-Up riguarda la valutazione dei servizi ecosistemici connessi all’allevamento ovino al pascolo e transumante. A questo scopo sono stati applicati collari GPS a due diversi greggi transumanti. Il monitoraggio si è protratto per un intero anno ed ha permesso di geolocalizzare gli spostamenti delle greggi, così da valutare il loro contributo nella manutenzione del territorio ed evidenziare altre esternalità positive. I risultati di questa azione del progetto hanno dimostrato la grande varietà di usi del suolo che vengono pascolati: a partire dai terreni incolti fino ad arrivare alle foreste, passando per colture specializzate, come vigneti e frutteti, ed anche attraverso zone urbane di confine. Questa diversità di zone fruite mette alla luce la capacità di adattamento delle greggi nei diversi periodi dell’anno e permette di fare delle ipotesi sulle conseguenze dell’eventuale assenza di una attività come quella del pascolamento delle razze autoctone, nelle rispettive aree di interesse, e di quella della pastorizia transumante in tutto l’areale montano e pedemontano regionale ed extra-regionale.
Un’ulteriore azione del progetto Sheep-Up volta a comprendere gli effetti del pascolamento è stata quella di prelevare campioni di suolo e di essenze erbacee nelle diverse zone di origine. Grazie alla continua collaborazione con gli allevatori è stato possibile raccogliere tali substrati in momenti specifici: prima e dopo il pascolamento. In questo modo, il confronto tra i due momenti ha potuto dare risultati interessanti nei riguardi dell’attività microbiologica dei suoli, il contenuto di nutrienti e il profilo minerale delle essenze foraggere che ne derivano. La caratteristica degli appezzamenti selezionati ha evidenziato un alto contenuto di sostanza organica rispetto ai seminativi non pascolati, da cui si deduce anche una alta attività microbiologica, scaturita proprio delle diverse specie che beneficiano di quel terreno. Anche le essenze foraggere hanno mostrato alto contenuto in proteina, sia prima che dopo il pascolamento. Notevoli sono risultati essere anche il contenuto di minerali, soprattutto il calcio, il potassio ed il magnesio, e di microelementi, come il ferro e lo zinco.
Il mantenimento di razze autoctone lega la tradizione di un luogo all’educazione ambientale di chi lo vive e contribuisce a preservare luoghi turistici marginali grazie al contributo di allevatori che si impegnano a portare avanti attività tipiche ereditate di padre in figlio. Le esternalità positive risultanti, che ad oggi non hanno un chiaro valore di mercato, vengono sostenute da stakeholder locali e turisti, sempre più sensibili ai temi della sostenibilità ambientale ed alle bellezze naturali.
Dott.ssa Elena Benedetti Del Rio (UniPD – Dafnae)
Prof. Enrico Sturaro (UniPD – Dafnae)