Assessore Elena Donazzan, il “caro energia” sta mettendo in crisi aziende e in difficoltà le famiglie venete. In particolare, gli aumenti dei costi di produzione legati all’aumento delle materie prime e dell’energia mettono a rischio la sopravvivenza di aziende e occupati.
Ritiene che gli interventi governativi che sono stati adottati sino ad ora siano sufficienti per affrontare questa emergenza?
Si stima che nel solo primo semestre del 2022 i contribuenti italiani saranno chiamati a pagare 44,8 miliardi di euro in più a causa del caro-bollette. Gli 11 miliardi stanziati finora dal governo rappresentano una piccola boccata d’ossigeno, ma non sono certamente sufficienti ad arginare un’emergenza di questa portata.
Secondo lei, quali strategie energetiche dovrebbero essere adottate per sostenere le imprese e complessivamente il “sistema” produttivo e sociale Veneto?
Misure urgenti come il credito di imposta per il surplus pagato e comunque ragionare come ha fatto la Francia su di un tetto massimo di aumento in bolletta, altrimenti nessuna azienda reggerà.
Sul lungo periodo la nostra Nazione dovrà dotarsi, cosa che non ha mai fatto fino ad ora, di politiche energetiche. L’Italia ad oggi ha saputo solamente dire no a tutto: no al nucleare, no alle trivellazioni, no ad altro idroelettrico, no alla termovalorizzazione. È ora di dire sì a qualcosa…
Qual è lo stato occupazione degli ultimi mesi nel Veneto? Qual è il trend?
Il 2022 si è aperto nella nostra regione con una crescita dei posti a tempo indeterminato, che a gennaio hanno fatto registrare un saldo positivo per 6.200 posizioni lavorative in più e un aumento delle assunzioni pari al più 3% rispetto al 2020 e a più 58% su gennaio di un anno fa. I saldi mensili sono positivi in tutti i comparti industriali. La ripresa della domanda di lavoro si sta concentrando nei settori che un anno fa avevano risentito maggiormente delle restrizioni, a partire dal turismo, anche se rispetto al periodo pre-pandemico le difficoltà di reclutamento permangono. Nell’industria le assunzioni crescono sia rispetto ad un anno fa, quando il mercato del lavoro risultava ancora ingessato dall’impossibilità di licenziamento, ma anche rispetto al 2020, con un +10% nel complesso del manifatturiero e +24% nel metalmeccanico.
Se complessivamente sono cresciuti i posti a tempo indeterminato, quali sono le ragioni per cui, contrariamente, crescono anche le dimissioni?
Il 29% delle cessazioni di gennaio è dato da dimissioni volontarie, con un più 19% rispetto ad un anno fa: è la cosiddetta ‘great resignation’, un fenomeno globale che registriamo anche in Veneto e che andrà monitorato attentamente. Potrebbe essere l’effetto concomitante di più fattori: ritardate dimissioni durante il periodo di blocco dei licenziamenti, qualche incentivo all’abbandono da parte di imprese in difficoltà e la possibilità da parte dei lavoratori dimissionari di trovare migliori condizioni di impiego altrove, in un mercato del lavoro che negli ultimi mesi ha ritrovato una buona dinamicità.
La denatalità ha effetti evidenti sul calo degli iscritti nelle scuole. Ci può riassumere il quadro complessivo e quello provinciale?
Il dato drammatico della denatalità si manifesta in tutta la sua evidenza nelle iscrizioni ai primi anni della scuola dell’obbligo: quest’anno tra scuola primaria e secondaria in Veneto si segna un meno 7.142 iscritti al primo anno, solo per la primaria meno 3.295. È come se scomparisse l’intera vallata della Valbrenta e, oramai da un decennio, in Veneto ne scompare una all’anno. I numeri di maggiore impatto rispetto alla diminuzione degli iscritti alla scuola primaria si registrano nelle province di Verona (-819), Treviso (-725) e Padova (-567), ma andando a vedere le percentuali Rovigo evidenzia il trend più negativo (-12,6%), seguita da Verona (-10,3%), Treviso (-9,8%) e Belluno (-9,1%).
Cosa si deve fare per cercare di invertire questa tendenza negativa?
Avere politiche per la maternità e la denatalità. La maternità non deve essere a carico delle imprese ma dello Stato, perché è un investimento per la Nazione. Oggi è considerato un costo per l’impresa. Le politiche per la natalità sono di tipo culturale: devono andare di pari passo con l’aiuto alla famiglia come luogo ideale di vita stabile, con servizi dedicati e messaggi positivi sulla bellezza della vita. Gli stati che hanno fatto questo in Europa, come Francia e Ungheria, hanno repentinamente cambiato rotta.
Quali scelte hanno fatto gli studenti per l’iscrizione nelle secondarie di secondo grado per l’anno 2022-23? C’è stata attenzione verso gli Istituti tecnici e professionali?
Il Veneto detiene il primato nazionale per numero di iscrizioni a Istituti Tecnici e Professionali: se la media nazionale si attesta intorno al 30,7% per gli Istituti tecnici e il 12,7% per i professionali, le iscrizioni degli studenti Veneti rilevate sono rispettivamente al 38,3% e al 14,0%. Più della metà degli studenti veneti predilige quindi un percorso di studi che ritiene più vicino al mondo del lavoro, con il 14,8% che frequenterà un Istituto Tecnico ad indirizzo economico (rispetto al 10,3% della media italiana) e un 23,5% ad indirizzo tecnologico (contro il 20,5% italiano).
La crisi delle aziende ACC e Ideal Standard di Borgo Valbelluna sembrano essere avviate a soluzioni positive. Lei ha coordinato il tavolo di incontro fra le parti. Cosa ha reso possibile questi accordi?
Aver accompagnato le crisi dall’inizio e con continuità. Ogni crisi ha una storia a sé: sono diverse le aziende coinvolte, diversi i territori, diverse le tipologie di crisi e diversi gli strumenti attivati. Ma c’è un’unica costante, l’Unità di Crisi ed il metodo con cui ci occupiamo delle crisi aziendali. Noi tendiamo sempre al coinvolgimento di tutte le parti e abbiamo sempre un obiettivo di industrializzazione o re-industrializzazione che porti con sé la soluzione occupazionale.
E.C.