Negli anni non sono mancati documenti, studi e analisi sulla Provincia di Belluno, riteniamo però sia utile nel contesto particolare e in evoluzione che stiamo vivendo, offrire uno spazio per attualizzare la visione sul nostro territorio, aprire uno spazio di dibattito, di riflessione e proposte. Per introdurre l’analisi sullo spopolamento nella Provincia, abbiamo chiesto al noto sociologo Diego Cason di inquadrarci il tema. E‘ un contributo introduttivo e pone le basi per le future riflessioni sulle nascite, sulla distribuzione della popolazione per classi di età, e sulla presenza di immigrazione e sulla sua rilevanza.
Dr. Diego Cason, le statistiche sono spesso difficili da interpretare, ci può aiutare su come leggerle e comprenderle, in questo caso affrontando l’aspetto demografico della nostra provincia?
Le variazioni della popolazione residente in un territorio, come la provincia di Belluno, hanno cause diverse. Le più rilevanti sono l’andamento delle nascite e delle morti, che determinano il saldo naturale (nati vivi meno morti), e quello delle iscrizioni e cancellazioni, che definiscono il saldo migratorio (iscritti da altri comuni italiani e dall’estero meno i cancellati per altri comuni e per l’estero). È, però, sufficiente un minimo di analisi per comprendere come le nascite e i flussi migratori derivino a loro volta da altri fattori. Ad esempio, le nascite dipendono dalle opportunità di occupazione stabile per le giovani coppie, dalla possibilità di ottenere un’abitazione a prezzi equi, dal tipo di orari di lavoro, dal livello delle retribuzioni e della presenza di servizi pubblici per l’infanzia Ma sono molto sensibili anche alle variazioni del costume riproduttivo, come è evidente osservando il nuovo ruolo femminile nel lavoro, in famiglia e nella società contemporanea. Allo stesso modo le immigrazioni dipendono dalla domanda di lavoro delle imprese, dalla presenza di un certo numero di disoccupati locali disponibili a lavorare, dagli stipendi offerti alla prima occupazione e, ovviamente, questo vale anche per l’emigrazione. Ad esempio, se in provincia di Trento pagano un ingegnere il triplo di quanto è pagato in provincia di Belluno è probabile che molti ingegneri bellunesi si trasferiranno nella provincia vicina.
Ci può riassumere, in sintesi, quali sono i motori della crescita demografica locale?
Possiamo dire, in sintesi, che i motori della crescita demografica locale sono sostanzialmente tre: le opportunità di produrre un reddito pro capite familiare elevato, le opportunità di carriera professionale nei luoghi di lavoro, l’insieme dei servizi pubblici e privati che permettono a una famiglia di continuare a lavorare in presenza di uno più figli. L’assenza o l’insufficienza di uno di questi tre elementi comporta sempre un calo della popolazione per effetto della riduzione delle nascite e dei flussi emigratori. In questo primo articolo mi occupo delle variazioni assolute e percentuali della popolazione residente totale nei comuni della provincia di Belluno per fornire ai lettori un quadro generale della situazione demografica.
Calando i flussi nella nostra Provincia, cosa emerge?
Nel suo insieme la provincia di Belluno ha avuto il massimo della sua popolazione nel 1921 quando al censimento aveva 259.275 abitanti, nel 1936 i residenti scesero a 216.333, risalirono a 238.269 nel 1951, da allora è iniziato un calo continuo fino ai 199.599 del 2021. Trascurando il passato remoto, partiamo dai residenti del 2001, da allora a Belluno e Rovigo s’è perduto il 4,7% e il 5,3% della popolazione, mentre nel resto del Veneto è cresciuta dell’8,5%. In termini generali il calo della popolazione non è un fatto negativo perché il nostro pianeta è sicuramente sovrappopolato rispetto alle sue capacità di sopportare una specie che è cresciuta di otto volte in cent’anni a spese di tutte le altre. Il problema non sta nella diminuzione degli abitanti, ma nel modo squilibrato in cui questa avviene che si manifesta in tre fenomeni preoccupanti:
1) la rapida riduzione del numero di giovani alla quale corrisponde (e proseguirà per i prossimi 35 anni) una crescita progressiva delle persone anziane. Dal 2000 i giovani da 0 a 14 anni sono diminuiti del 12% (– 2.817), mentre gli anziani con più di 75 anni sono cresciuti del 30% (+ 6.349).
Il grafico seguente rappresenta il numero di abitanti per ogni anno di età (sull’asse verticale) in due anni diversi, il 2001 e il 2021, in esso si vede con chiarezza come i residenti da zero a 46 anni sono in numero molto inferiore rispetto al 2021 (– 27.121) mentre i residenti di età superiore sono molti di più nel 2021 rispetto a vent’anni fa (+17.179). Si vede con altrettanta chiarezza che i giovani non saranno in grado di sostituire le persone dai 45 ai settant’anni che ora lavorano.
Quali sono le aree più interessate da questo fenomeno?
La riduzione degli abitanti è più evidente nei territori in quota: ad esclusione di Arsié, tutti i comuni che hanno subìto una perdita superiore al 10% dei residenti negli ultimi vent’anni sono comuni di montagna e tra i dieci comuni che sono cresciuti solo Borca e San Vito di Cadore stanno in quota. Da un lato gli abitanti di Limana sono aumentati di 1/5, dall’altro Gosaldo ha perso 1/3 dei suoi abitanti, questa erosione dei residenti in comuni a quote superiori agli 800 mslm in passato riguardava soprattutto i comuni periferici, negli ultimi anni invece questo fenomeno coinvolge anche i capoluoghi dei distretti montani, come Pieve di Cadore (– 3,6%), Agordo (– 4,9%), Santo Stefano di Cadore (– 17,2%). Ovviamente lo spopolamento montano colpisce in modo più duro le località che, oltre ad essere in quota, sono periferiche e prive di un fenomeno turistico locale, in grado di produrre un valore aggiunto adeguato; sono i casi di Val di Zoldo e Zoppè (–32 e – 36%), Lamon e Sovramonte (– 23%), Ospitale e Cibiana di Cadore (– 30%), Tambre e Chies d’Alpago (– 17 e – 19%). Nelle stazioni turistiche più affermate, con un consistente flusso di ospiti annuali, la situazione è un po’ meno grave ma segna comunque una perdita di abitanti consistente, Pieve di Livinallongo – 7,5%), Cortina d’Ampezzo (– 9,6%), Falcade (– 16%), Alleghe (– 19%), Rocca Pietore (– 20%).
La dinamica demografica dei comuni ha un segno positivo solo in 10 comuni, che sono tra i più manifatturieri della Valbelluna, a Limana c’è stato un incremento del 20,8% a Sedico del 18,4% a Santa Giustina del 4,3%, o in quelli alla periferia di Cortina d’Ampezzo, dove i prezzi degli immobili sono così elevati da scoraggiare la residenza di giovani famiglie, e sono i casi di San Vito (+ 13%) e di Borca di Cadore (+7,6%).
Perché avvertiamo poco questa diminuzione? Temporalmente quando c’è stata una divaricazione all’interno della popolazione attiva?
Perché i fenomeni demografici sono fenomeni di lungo periodo, per questo motivo non vengono avvertiti dai residenti.
Nel 2000 le persone che, nei 10 anni successivi, sarebbero uscite dal mondo del lavoro erano più o meno lo stesso numero di quelle che vi sarebbero entrate (24.000 giovani dai 18 ai 27 anni contro 26.000 tra i 56 e 65 anni), nel 2020 i giovani sono poco più di 17.000 e gli anziani sono 28.000. In assenza di mutamenti nelle dinamiche demografiche future, fra 10 anni mancheranno 11.000 addetti nelle imprese bellunesi, questo fatto corrisponde a un calo di circa il 12% degli addetti, con effetti facilmente immaginabili in una manifattura che è in gran parte ad elevata intensità di lavoro. In vent’anni la provincia ha perduto circa 25.000 attivi (considerando tali le persone da 19 a 64 anni) ed oggi ha circa 108 mila attivi, dei quali 94.000 sono addetti nelle imprese e nelle istituzioni in provincia di Belluno. Essi si fanno carico di 71.000 persone che non lavorano. È vero che una parte del lavoro potrà essere sostituito con iniezioni di tecnologia nelle attività produttive industriali e artigianali, ma è evidente che questa riduzione di attivi occupati non potrà che avere effetti negativi sulla capacità della nostra comunità di produrre un reddito adeguato a garantire le attuali condizioni di benessere ai bellunesi. Nel grafico seguente si può vedere bene quali siano le dimensioni del fenomeno presentato. La popolazione giovane tra i 15 e i 39 anni è diminuita in tutti i comuni della provincia ma la variazione di questa “fetta” della popolazione, che è sostituti-va dei lavoratori di età più elevata, si è ridotta del 10% a Limana e del 64% a Zoppè di Cadore e del 58% in Val di Zoldo.
Il fenomeno dell’abbandono delle periferie, a favore dei centri urbani, è un fenomeno globale che investe tutti i paesi del mondo e quindi non risolvibile in sede locale, ma cosa succede nella nostra provincia?
I fenomeni demografici sono fenomeni di lungo periodo, per questo motivo non vengono avvertiti dai residenti, poiché i mutamenti, anno dopo anno, appaiono modesti.
Se i processi di progressivo abbandono dei luoghi abitati non vengono contrastati producono effetti devastanti, com’è il caso emblematico del Comune di Gosaldo dove nel 1991c’erano 916 abitanti ed oggi ce ne sono 545, dei quali 1/3 ha più di settant’anni. È evidente che, se in un comune, in 20 anni, si perde più del 30% degli abitanti significa che questi territori non sono marginali solo in termini geografici ma, soprattutto, in termini politici. Significa che sono considerati dalle classi dirigenti che hanno il potere legislativo, ovvero quelle nazionali e regionali, del tutto irrilevanti e non meritevoli di politiche attive al fine di favorire la stabilità demografica locale. Lo dimostra il fatto che, nello stesso periodo di tempo, la popolazione della provincia di Trento è cresciuta del 13%, quella della provincia di Bolzano ha avuto un incremento del 21%. In Süd Tirol solo 10 comuni hanno avuto un calo demografico e solo quattro registrano una riduzione superiore al 10% tra questi Predoi, che ha perso il numero di residenti percentualmente più rilevante, ha avuto una riduzione del 17%.
Quali riflessioni si possono fare?
Appare abbastanza evidente che i governi autonomi di territori interamente montani sono più efficienti nel contrastare lo spopolamento montano. Viceversa, i governi di territori prevalentemente pianeggiati, dotati di autonomia limitata e di scarsa conoscenza delle realtà montane, non sono capaci di intervenire con efficacia nel contrastare lo spopolamento delle aree marginali specialmente se poste a quote elevate.