Monsignor Vescovo, inaspettatamente dopo tanti anni, in Europa è scoppiata la guerra provocata dall’invasione russa dell’Ucraina. Perché secondo lei è così difficile mantenere la pace?
Mi ha molto colpito di recente Papa Francesco quando ha detto: “Nell’immaginario universale, quello che conta è la guerra, la vendita delle armi”. Papa Francesco lanciava in anticipo un allarme. Perché questa constatazione? La guerra è sempre possibile purtroppo se noi non operiamo positivamente per il bene. La pace non è mai un’innocua tranquillità. È un dono da accogliere sempre, una responsabilità da assumere in continuità, una vigilanza da attivare in ogni fraintendimento, una consapevolezza mai scontata della preziosità di coloro con cui ci rapportiamo, una paziente gestione dei propri impulsi ed emozioni, una cura minuziosa della storia e del pianeta. Tutto questo vale anche nei rapporti tra popoli diversi, tra stati, tra comunità… In particolare, poi, occorre liberarsi del peso di ogni forma di armi da guerra, di smetterla di commerciarle per arricchirsi in potere, in denaro, in rivendicazioni ideologiche.
Cosa possono fare la comunità italiana e cattolica per dare un aiuto concreto a quanti soffrono per questa guerra e per gli sfollati?
Occorre guardare in volto le persone, coglierne il dolore, sentirlo proprio e riconoscerlo di tutti e, poi, agire di conseguenza… Si può trattare di gesti e di parole anche molto semplici: «Beati gli operatori di pace…», ma sinceri e provenienti dal “cuore”.
La notizia che Papa Francesco proclamerà beato Papa Giovanni Paolo I domenica 4 settembre 2022 a San Pietro in Roma è stata accolta con grande gioia non solo dalla Comunità cristiana bellunese, ma da tutta la popolazione.
La morte improvvisa e inaspettata il 28 settembre 1978 di Giovanni Paolo I, il nostro Albino Luciani, lasciò sgomenta l’intera comunità cristiana e in particolar modo toccò profondamente tutti i bellunesi e non solo. Pervennero infatti, alla diocesi di Belluno-Feltre, migliaia di richieste per la sua canonizzazione da varie parti del mondo.
Eccellenza mons. Marangoni, come si è arrivati a questa attesa beatificazione?
Mi viene da dire che si è arrivati apprendendo la paziente affabilità di Albino Luciani, la sua ferma convinzione circa il bene sempre da cercare e praticare. Sono stati anni di paziente attesa, come di fatto Luciani ha accolto, assunto e svolto il ministero a Belluno, a Vittorio Veneto, a Venezia e infine, per breve tempo, a Roma.
Quali effetti religiosi e sociali avrà la sua proclamazione per la provincia di Belluno?
Di incoraggiamento e di fiducia nel tessere i fili semplici e autentici della vita delle persone, delle comunità e della storia.
La Chiesa è sempre stata vicina alle persone sofferenti e bisognose. La pandemia ha accentuato lo stato di disagio di varie famiglie. Cosa ha messo in campo la Diocesi?
Quali azioni di aiuto?
La capillarità della vita parrocchiale ha avuto molti risvolti di attenzione e di vicinanza, come può essere un aiutarsi a svolgere le incombenze della vita ordinaria. Ci sono stati aiuti molto concreti verso famiglie che versavano in particolari difficoltà. Si è cercato di dare dei segnali di vicinanza a tante persone anziane. Nei periodi di limitazione si è cercato di far giungere alle persone indicazioni e suggerimenti di preghiera, di sostegno della fede. La Caritas è sempre rimasta vigile.
Lei ha partecipato, assieme al vescovo di Vittorio Veneto Pizziolo, alla manifestazione di solidarietà ai lavoratori dell’Acc-Wanbao e Ideal Standard, che si è tenuta a Mel, esprimendo vicinanza e condividendo la preoccupazione per l’incertezza del lavoro auspicandone una soluzione condivisa. Una partecipazione inedita.
Quali sono state le motivazioni della sua partecipazione? Come vede la realtà economica e produttiva della nostra Provincia?
Noi due vescovi avevamo una condivisione da attivare. Volevamo esprimere che le nostre comunità di fede sono appassionate al territorio, al vissuto a volte travagliato delle famiglie e delle persone. Intendevamo evidenziare che il lavoro è un bene immenso che nessuno può accaparrarsi ma che va pensato, progettato, articolato nella più concreta condivisione. Non c’è solo il proficuo di alcuni da perseguire, ma la dignità di tutti.
La nostra Provincia necessita di organizzare l’attività produttiva a filiera, in rete, valorizzando appieno le risorse e le peculiarità del territorio e delle culture locali.
Quali azioni si dovrebbero intraprendere per arrestare la decrescita demografica e l’abbandono dei giovani più preparati dal nostro territorio?
Il problema è davvero “grande”. Avviare dei processi di miglioramento della situazione è decisivo. Sì, penso che i giovani rappresentino la chiave di volta. Ma occorre loro offrire condizioni di fiducia perché possano scoprire la bellezza del mettere in gioco le loro vite negli affetti, nella socialità positiva, nel promuovere comunità con destini condivisi, nell’assumere stili di vita “ecologici”. Su questo noi generazioni adulte abbiamo posto troppe ipoteche, troppe strumentalizzazioni, troppi sfruttamenti e non abbiamo liberato energie positive interiori, sociali, spirituali, etiche, politiche.
Qual è il suo auspicio per quest’anno che si sta trascinando vari problemi come la pandemia?
Che la smettiamo di escogitare ragioni di contrapposizione a tutti i livelli, che cerchiamo di dare più credito alla fraternità, non quella uniformante e assolutizzante, ma quella che sa riconoscere la specificità altrui lasciando sempre che un’ulteriore verità possa esserci donata.
E.C.