Il dott. Orazio Andrich è un forestale molto conosciuto non solo per essere stato per vari anni Presidente dell’Ordine dei dottori agronomi e forestali, ma anche per la sua indubbia professionalità, coinvolgente ironia e per il grande attaccamento alla sua terra avendone approfondito storia e cultura. Fa parte dell’importante Accademia italiana di scienze forestali ed è membro del Comitato scientifico della Fondazione “Montagna e Europa” Arnaldo Colleselli.
Dott. Andrich, lei conosce molto bene i boschi della nostra Provincia che ha studiato, analizzato, misurato, stimato, ecc. Il suo è un approccio dell’appassionato forestale che vuole comprenderne lo stato di salute e di maturazione, le problematicità e le soluzioni più idonee per valorizzarne le risorse.
La tempesta Vaia ha creato danni ingenti con milioni di metri cubi di legname distrutto o a terra, un patrimonio enorme che è stato possibile recuperare solo in parte con remunerazioni molto basse, spesso al disotto dei costi del prelievo.
Secondo lei, quanto materiale è stato possibile recuperare? Quali i problemi si sono dovuti affrontare per l’esbosco e la vendita?
Non si contano gli articoli apparsi sulla stampa su queste questioni. Si sono inoltre tenuti molti convegni, taluni dei quali con ampio spiegamento di relatori titolati, slide e immagini virtuali; molti di meno sono i soggetti che si sono immersi nell’intrico degli schianti e che si sono cimentati concretamente con i recuperi, gli esboschi e le misurazioni.
Ufficialmente sono stati stimati nel Veneto circa 2,7 milioni di metri cubi di schianti: supponendone 1 milione nell’altopiano di Asiago, rimangono in Provincia di Belluno 1,7 milioni. A mio parere sono di più, ma posso rispondere per i casi con i quali ho avuto personalmente da fare. Sono poi necessarie delle chiarificazioni, sia su come sono avvenute queste valutazioni, sia su cosa si intende per metri cubi: cormometrici, commerciali, blastometrici ecc. Temo che sia i promotori, sia i destinatari dell’informazione siano calamitati dai numeri ma non sappiano concretamente rappresentarseli: ad esempio, che un metro cubo cormometrico corrisponde a una pianta di abete rosso del diametro di 35 cm con altezza di 22 metri nelle Prealpi (o a una di 30 cm ed altezza di 28 metri nel Comelico), esclusi rami o cimali. Alcuni dati contrastanti sulla quantità del materiale recuperato possono dipendere da equivoci tra il materiale formalmente messo in vendita e quello effettivamente asportato. Talune ambiguità (forse anche intenzionali) sono talora state amplificate da una disinvolta informazione.
Nel frattempo i danni sono aumentati per altri eventi di vento e di neve degli inverni successivi e per gli effetti di destabilizzazione nei soprassuoli colpiti, fino ad arrivare ora al bostrico.
In definitiva, per dare una seria risposta alla domanda è meglio aspettare, come si suol dire, che le bocce siano ferme e concentrare le energie per completare le bonifiche incompiute, nonché fronteggiare la nuova situazione di emergenza.
Quali carenze sono emerse nella filiera forestale?
Appare evidente che la filiera foresta-legno si presenta incompleta, quantomeno per il fatto che mancano le segherie. Temo però che la filiera sia più un bel concetto che una realtà, o che, per la nostra Provincia, si tratti di un sistema parecchio sforacchiato. Prima del cataclisma Vaia, mi era parso di intravedere una sostanziale annessione di parti significative delle nostre risorse forestali a filiere più strutturate nelle limitrofe provincie autonome, almeno fin dove queste potevano proiettarsi giornalmente dai propri confini. Dopo Vaia è apparsa chiara la capacità di fagocitazione dell’Austria e si è inaspettatamente aperta una provvisoria via commerciale verso la Cina. Le nostre imprese forestali sono state attive e professionali in una difficilissima situazione, che comunque superava le loro forze. Certamente, una maggiore coesione avrebbe consentito una maggiore efficacia.
Nei giorni successivi a Vaia, in veste di presidente dell’Ordine degli agronomi e forestali e anche in accordo con altri colleghi (menziono la dott. Paola Berto), avevo propugnato di utilizzare il materiale legnoso rapidamente e stoccarlo, in maniera da non svenderlo, in piazzali di deposito con irrorazioni controllate di acqua che ne conservasse le caratteristiche intrinseche, suddividendolo in assortimenti. Procedimento certamente non facile e non generalizzabile ovunque ma che presupponeva una cabina di regia con le massime competenze professionali e in grado di assumersi direttamente le responsabilità. Nello stato di emergenza conseguente a Vaia, comprensibili ragioni di protezione civile e idrogeologica hanno avuto priorità sul bosco. Non è il caso di rinvangare ora questa proposta. Comunque, la creazione di una filiera potrà continuare a essere perseguita, evitando visioni troppo virtuali e privilegiando la concretezza.
Oltre ai danni della tempesta Vaia si stanno sommando anche quelli causati dell’insetto bostrico che sta interessando superfici sempre più ampie e la preoccupazione dei proprietari, sia pubblici che privati, sta aumentando di giorno in giorno. Cosa si può fare per combatterlo e limitarne i danni?
E’ noto che il Coleottero Scolitide, noto con il nome di Bostrico tipografo (Ips typographus L.) è endemico (con danni circoscritti) nei boschi di abete rosso, ma che diventa pandemico dopo eventi calamitosi. Va da sé che sarebbe stato da recuperare quanto più possibile del materiale legnoso a terra anche per evitare successive pullulazioni, che stanno colpendo in maniera preoccupante estese superfici. I caldi estivi e anche temperature più elevate della norma nelle stagioni intermedie ne favoriscono il ciclo e lo sviluppo; ma soprattutto sono le condizioni del soprassuolo arboreo dopo gli eventi di Vaia che ne predispongono le infestazioni. Ora, non potendosi più prevenire esponenziali incrementi delle popolazioni dello Scolitide, bisogna affrontarlo cercando di limitarne i danni. Bisogna passare dallo studio del Bostrico alla reazione al medesimo.
Nel settembre 2021 la Regione ha emanato “linee guida per la difesa dei popolamenti forestali dal bostrico tipografo”, con indicazioni operative e amministrative. Ci si trova però di fronte a talmente tante variabili, che applicarle non è facile. Sono necessari uno specifico addestramento per la corretta individuazione dei margini delle tagliate e una elevata professionalità per rendere fattibile anche dal punto di vista economico, logistico e tecnologico il prelievo su questi difficili territori di montagna, che sarebbe auspicabile solo sotto l’aspetto fitosanitario e selvicolturale. In quest’ottica bisognerebbe subito procedere ad una formazione/addestramento pratico sia di tecnici forestali, sia di altri soggetti (operai, custodi forestali, personale delle ditte boschive).
Ma i tempi incombono: gli adulti inizino nuovamente a sfarfallare a fine aprile, metà maggio. E’ comprensibile perciò che psicologicamente si tenda a scantonare il problema o cercare degli scaricabarili. In questo caso, il “lasciar fare alla natura” non deve costituire un alibi per eludere le responsabilità. Certo, la natura ha i suoi dinamismi, ma questi non soggiacciono ai tempi umani e alle aspettative di beni e servizi che la società è abituata ad attendersi dal bosco.
Bisogna dunque passare dalla esposizione concettuale all’applicazione pratica. Il fenomeno al quale far fronte impone reazioni rapide; i consueti tempi e routine le intralcerebbero. L’approccio gestionale potrebbe prendere a riferimento l’acronimo IDA: Informazione-Decisione-Azione.
Bisogna attingere alla quarta delle virtù cardinali, la fortezza, che prevede la mobilitazione delle forze per svolgere i propri compiti ed adempiere alle proprie responsabilità e che sollecita a non mollare, nonostante le probabili parziali delusioni.
Le competenze in materia forestale sono diverse e ciò rende le azioni di contrasto al bostrico complicate anche per aspetti burocratici. Ritiene che per intervenire urgentemente per combattere la propagazione del dannoso parassita ci sia la necessità di un Commissario? In alternativa, quali forme di coordinamento fra gli Enti interessati posso essere attuate per intervenire nel bosco in tempi brevi?
Per le situazioni di emergenza mi si consenta di fare riferimento ad un fatto che mi aveva colpito da ragazzo. Appena verificatosi il disastro del Vajont vi era stato uno straordinario e subitaneo concorso di soccorritori. A tale afflusso non corrispondeva eguale efficienza, fin che non arrivò in elicottero il comandante del IV Corpo d’Armata, generale Carlo Ciglieri, che piazzò in una tenda il posto di comando, al quale tutti fecero riferimento: sovrapposizioni e confusioni di ruoli si aggiustarono immediatamente e gli aspetti della commossa e corale opera trovarono la loro composizione. Non ho dunque dubbi nel preferire un comando unico, autorevole, competente e che sta sul posto dando l’esempio; ma se questo non c’è e non può improvvisarsi, è giocoforza pensare un’altra opzione. Poiché non si configura l’istituzione di un Commissario specifico per fare fronte al Bostrico, la via più percorribile rimane quella del Coordinamento.
Il principale coordinamento sarà da instaurare tra la Regione e i proprietari di boschi infestati da Bostrico. Giacche, tra questi, sono rilevanti le Regole, tutti i Comuni dell’area dolomitica e molti di quella prealpina, in un quadro più ampio di organizzazione potrebbe essere incluse la Provincia e/o le Unioni Montane. Non è da sottovalutare l’impegno che occorre per trasformare i buoni intenti di collaborazione in effettiva sinergia tra le varie Amministrazioni: coordinamento che non è facile e scontato, soprattutto quando esistono zone incerte di sovrapposizione. Si sa che esiste un “paradosso del coordinamento”, dove tutti dichiarano di voler essere coordinati ma pochi accettano di dipendere da qualcun’altro. Appropriati circuiti decisionali e relazionali possono esserne la risoluzione.
Vaia ha compromesso anche la stabilità di versanti e di vallate. Quali azioni ritiene siano prioritarie?
Le menzionate Linee guida emanate dalla Regione forniscono indicazioni operative: nelle foreste di produzione attaccate dal bostrico è necessario verificare la presenza degli insetti nella zona periferica al nucleo colpito, anche se apparentemente sane, procedendo al taglio, esbosco e scortecciatura (con asportazione delle cortecce dal bosco o dei tronchi) prima che gli adulti inizino nuovamente a sfarfallare. Se l’utilizzazione avviene entro qualche mese dall’attacco le caratteristiche tecnologiche del legname non subiscono modifiche e quindi le piante ricavate sono economicamente appetibili per le imprese boschive. Nelle foreste dove la funzione di protezione è prevalente è necessario evitare la scopertura del suolo, rilasciando anche piante colpite in piedi e tagliando a fasce lungo le curve di livello per realizzare con i tronchi abbattuti delle opere di difesa temporanee dalla caduta di sassi e impedire la formazione di valanghe.
Al di là delle Linee guida, non si dovrebbe fare affidamento su uno schema unico. Requisito essenziale per definire le azioni è di poter disporre di tutte le informazioni spaziali, e quindi anche dei rilievi da satellite, foto aeree, ecc. Queste vanno rapportate alla conoscenza effettiva del territorio, sia a scala generale, sia comprensoriale, sia (e soprattutto) locale. Non ci si deve fermare alla conoscenza della situazione in senso solo scientifico, ma farne la base del processo decisionale. L’informazione va strettamente connessa alle decisioni e alle azioni, che, oltre ad essere tempestive, devono essere le più professionali possibili.
Lo spazio operativo potrebbe essere articolato in aree operative, caratterizzate non solo da omogeneità ambientale ma anche da relazioni, obiettivi e vincoli di carattere sociale, economico e, quindi, anche politico. Le aree potrebbero essere suddivise in tante fasce quante sono le posizioni nelle quali si possono imporre al bostrico azioni di contenimento. Le azioni di contenimento saranno pertanto suddivisibili in azioni di contrasto dinamico, azioni di frenaggio e azioni di arresto (temporaneo o definitivo). La loro caratterizzazione è una questione tecnica da mettere a punto con specifici progetti di taglio. Gli aspetti selvicolturali vanno rapportati inoltre alle risorse economiche e soprattutto alle disponibilità umane.
Ritiene che le risorse messe a disposizione per i primi interventi e per il ripristino forestale siano sufficienti?
La Regione Veneto ha posto in essere una serie di importanti azioni: oltre alle citate Linee guida, accurati Monitoraggi, l’intervento con personale e mezzi di Veneto Agricoltura nelle proprietà pubbliche, partecipazione a gruppi di lavoro interregionali e collaborazione con il Ministero (MIPAAF), collaborazioni con Enti strumentali (AVEPA; Veneto Agricoltura), potenziali finanziamenti PSR. Questo è sicuramente positivo ma non sufficiente per affrontare la gravità del problema nella sua entità.
In particolare, se la responsabilità di attivare gli interventi necessari sembra in capo ai proprietari dei boschi, sono necessarie altre linee di finanziamento adattate al caso e non vincolate alla logica aziendale propria del Piano di Sviluppo Rurale.
Poiché la questione non sembrava adeguatamente considerata, la Fondazione Montagna e Europa, intitolata ad Arnaldo Colleselli, ha promosso all’inizio dell’anno un documento di sensibilizzazione per il livello politico e per gli Enti della provincia di Belluno. Il 23 febbraio, dopo un dibattito anche vivace suscitato da una Mozione, il Consiglio Regionale del Veneto ha impegnato la Giunta e il Presidente ad attivarsi presso i Ministri competenti per mettere nelle condizioni i territori di attuare quanto previsto dalla legge di Bilancio (L. 234/2021, articolo 1, comma 850) e per mettere in atto adeguate azioni, in particolar modo la realizzazione delle piste di esbosco e gli impianti di teleferica, nonché a erogare adeguati sostegni economici agli enti locali e ai privati per il taglio e l’esbosco degli alberi e a prevedere un adeguato ristoro per la bonifica e il successivo reimpianto di specie legnose. Rilevante è il fatto che vi sia stata unanimità: quindi sembra ci siano le condizioni politiche perché il Veneto ora faccia fronte a quanto possibile.
E’ tempo anche di pensare alla ricostruzione delle aree colpite e danneggiate. Ovviamente ogni area ha le sue peculiarità e anche l’altimetria gioca un ruolo importante nelle scelte da compiere.
Quali essenze legnose ritiene siano le più idonee da piantumare considerando anche la loro adattabilità ai cambiamenti climatici in atto?
Pur riconoscendo alla natura un ruolo fondamentale, si ritiene che non si possa più prescindere dal prendere in considerazione interventi di rimboschimento con specie più resilienti: principalmente Larice nella zona dolomitica e Faggio nella zona prealpina. Queste sono più adattabili anche ai presumibili cambiamenti climatici; le altre specie (ad esempio Frassino maggiore ed Acero montano) saranno accessorie e devono essere definite in base alle tipologie di bosco preesistente. Nelle aree più continentali (ad esempio Col di Lana) sarà interessante impiegare anche il Pino Cembro.
Intendiamoci: non si tratta di rimboschire a tappeto, ma di costituire in tempi brevi (10-20 anni) un appoggio alla ricostruzione per via naturale (che potrà proseguire per molti decenni). La superficie non dovrebbe superare una certa percentuale delle aree danneggiate (non oltre il 20%), e non superare moduli di 2.000 metri quadri, ma accelererebbe l’insediamento di neoformazioni spontanee più solide. Il metodo di rimboschimento deve distinguersi dalle tecniche tradizionali (con sesto regolare su tutta la superficie), effettuando l’impianto a gruppi, organizzati in “collettivi” concentrati in punti che diano maggiore affidamento per la riuscita. Bisogna innanzitutto considerare in dettaglio l’ecologia della stazione, compresi i fattori che possono risultare limitanti alla riuscita dell’intervento: ungulati, insetti, movimenti della neve e concorrenza della vegetazione arbustiva ed erbacea.
Ovviamente per rimboschire c’è la necessità di avere a disposizione il materiale per il rimboschimento. Ritiene che attualmente ce ne sia a sufficienza?
Prima di Vaia c’era una sorta di ostracismo ai rimboschimenti, motivato dal fatto che di alberi in Provincia di Belluno ve n’erano tanti. Con le precisazioni e i limiti dianzi specificati si può procedere con un programma non affrettato. Attualmente le piantine forestali sono fornite dal Centro Biodiversità forestale e fuori foresta di Veneto Agricoltura, ma la produzione di Larice e Faggio dovrà esser aumentata: proprio per far fronte alla nuove esigenze Veneto Agricoltura ha ampliato il vivaio del Cansiglio.
Sarà comunque importante preservare gli elementi di disseminazione all’interno delle aree colpite o in loro prossimità come il Larice alle quote superiori e i portasemi di Faggio in quelle inferiori.
E.C.